Mentre sui social dilagano i meme su disoneste e disonesti, il Belgio ha deciso di fare di più: ha riconosciuto a tutti i lavoratori del mondo del sesso i diritti e le tutele spettanti a tutti i dipendenti, divenendo il primo Paese al mondo a compiere  un’apertura del genere. E in Italia come siamo messi?

Premessa

Il mondo del sesso a pagamento è sicuramente un mondo controverso e divisivo. Limitandomi al panorama europeo, la questione viene regolata in maniera diversa, a seconda che piacciano o meno le donnine: sicuramente conoscerai il sistema olandese famoso in tutto il mondo per le vetrine rosse di Amsterdam. Dal lato opposto, nei paesi nordici e in Francia è diffuso un sistema definito neo-proibizionista, secondo cui la prostituzione è sempre una violenza dell’uomo sulla donna, anche quando vi è il consenso di quest’ultima. In questo contesto così variegato, che ti invito ad approfondire, si inserisce il caso belga, dove hanno deciso di compiere un ulteriore passo in avanti.

Mappa della prostituzione europea ma potete usarla anche per giocare a Risiko

La riforma per i lavoratori

In Belgio, dove la prostituzione è stata depenalizzata nel 2022, dal 2 dicembre i sex workers sono parificati a tutti i lavoratori dipendenti, come gli impiegati e gli operai. Ma che significa? Devono fare concorsi pubblici? Certo che no, ma vediamo in cosa consiste questa legge. 

I benefici principali riguardano: assicurazione sanitaria, congedo di maternità, disoccupazione e pensione, tutte cose che in Italia ci sogniamo anche per lavori più casti. Accanto a queste previsioni generali, ce ne sono altre più vicine al mondo del sesso: ad esempio, i lavoratori hanno diritto a rifiutare o interrompere un atto sessuale o determinate pratiche. In questi due casi, inoltre, sono protetti dal licenziamento e da altri provvedimenti da parte del datore di lavoro. Ancora, possono rescindere il contratto senza preavviso e senza alcuna ripercussione.

Peace and love, molto love

La riforma per i datori

E il datore di lavoro? Anche lui deve rispettare pesanti regole. In primo luogo regole sull’igiene, fornendo preservativi, asciugamani e lenzuola puliti, docce e tutto ciò che serve per evitare che vi sia un pullulio di bordelli da sobborgo parigino del diciottesimo secolo. In secondo luogo, il datore di lavoro, per assumere sex workers, deve ottenere un’autorizzazione statale che non può essere concessa se l’imprenditore ha riportato condanne per reati gravi, come frode, stupro e traffico e sfruttamento di esseri umani o se l’impresa non ha sede legale in Belgio.

Ovviamente, questa legge ha suscitato molto dibattito che si è diviso tra chi l’ha accolta con favore viste le tutele che introduce e chi, invece, l’ha criticata perché possibile fonte di discriminazioni e, soprattutto, pericoli per le lavoratrici.

E in Italia?

In Italia la situazione è più ingarbugliata e, soprattutto, leggermente anzianotta. Il mondo del sesso, nel panorama giuridico italiano, non può che farmi riesumare la Legge Merlin (l. 75/1958), così chiamata dal nome della senatrice Lina Merlin. Scopo principale e dichiarato della legge è quello di abolire l’organizzazione e lo sfruttamento della prostituzione, andando a porre fine al fenomeno delle “case chiuse” ma lasciando di per sé legale la prostituzione in proprio, ossia quella svolta liberamente e senza alcuna forma di sfruttamento. In parole povere non è reato andare a disoneste ma lo è aprire un bordello.

Il prezziario di una casa di tolleranza... Molto nostalgica

Tutto qui? Siamo fermi al 1958? Più o meno sì, ma occorre fare due osservazioni. Secondo un rapporto Codacons del 2023, la prostituzione produce, in Italia, un giro d’affari di circa 4,7 miliardi di euro, gestiti ovviamente dalla malavita. Su questo punto, non c’è da meravigliarsi che qualcuno abbia ipotizzato, come riportato dal Corriere della Sera qualche giorno fa, una riapertura delle case chiuse, in modo tale da portare sotto il controllo dello Stato un giro d’affari – purtroppo – così redditizio. Chi? Ovviamente Matteo Salvini, che ultimamente cito spesso ma, non me ne voglia signor ministro, non è colpa mia. 

Conclusione

Quella belga è sicuramente una svolta interessante ed epocale non solo e non tanto in tema di prostituzione, ma anche e soprattutto in materia di diritti umani. Riconoscere “il mestiere più antico del mondo” come un lavoro a tutti gli effetti e, di conseguenza, riconoscere a lavoratori e lavoratrici tutte le tutele dei dipendenti significa compiere un importante passo in avanti verso il rispetto della libertà e della dignità di tutti gli esseri umani, partendo appunto dal lavoro più denigrato e bistrattato della storia. In Italia, vuoi per la forte morale cattolica, vuoi per la tendenza del legislatore a volgere spesso lo sguardo altrove, siamo un po’ più indietro, fermo restando che un problema come quello della prostituzione è un tema molto delicato e sicuramente divisivo.

Fonti

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