Tra guerre, mandati di cattura rispediti al mittente, diplomazia e un continuo braccio di ferro tra Stati e organizzazioni è necessario ricordare la centralità e la preminenza del diritto internazionale. È roba importante: prendi una bibita, mettiti comodo e leggi.
Definizioni e principi
Il diritto internazionale regola i rapporti tra Stati, nonché tra questi e le varie organizzazioni sovranazionali. Riservandoci la parte noiosa per dopo, il diritto internazionale cresce e si sviluppa soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, quando occorreva scacciare i fantasmi dei grandi totalitarismi e dei due conflitti favorendo la cooperazione tra tutti gli attori internazionali come l’Onu e la famigerata Corte penale internazionale, di cui vi parlerò dopo.
Parliamo di princìpi – non di prìncipi, questi li lasciamo all’araldica – ed esaminiamo la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata dalle Nazioni Unite nel 1948. La Dichiarazione rappresenta una pietra miliare del diritto internazionale e, soprattutto, del riconoscimento dei diritti umani come: pace, uguaglianza, non discriminazione, diritto alla vita, divieto di schiavitù, istruzione, dignità, divieto di tortura e tanto altro.

Bello vero? C’è però un intoppo: la dichiarazione non è giuridicamente vincolante. Tuttavia, non tutto è perduto, poiché la dichiarazione esprime le aspettative del mondo intero all’indomani della seconda guerra mondiale. Una dichiarazione che ha fatto da faro per gli anni successivi, che ha posto un «common standard of achievement» per lo sviluppo del diritto internazionale. Sembra un quadro di Dalì ma ti assicuro che ha senso.
Attori principali
In questo sistema così intricato voglio mostrarvi due dei tanti attori della scena internazionale. Prima l’Onu, per ovvie ragioni, e poi la Corte penale internazionale, per ragioni altrettanto ovvie.
L’Onu nasce il 24 ottobre 1945 e, ad oggi, ne fanno parte 193 Paesi. Tra le principali prerogative dell’Organizzazione troviamo: mantenimento della pace, sviluppo di relazioni amichevoli tra gli Stati, risoluzione dei problemi internazionali e rispetto dei diritti umani. Anche se le Nazioni Unite non sono un mega-Stato e, quindi, non hanno poteri legislativi (come i parlamenti nazionali), il lavoro che esse svolgono codificando consuetudini internazionali e promuovendo la stesura di trattati internazionali è sintomo della loro centralità nella panorama internazionale.

La Cpi, invece, nasce nel 1998 con lo Statuto di Roma, cui ad oggi hanno aderito 123 paesi tra cui non figurano però Cina, Russia e Stati Uniti. L’esigenza di avere un tribunale che si occupasse dei crimini internazionali era già avvertita nel 1948 con la Convenzione per la prevenzione e la repressione di crimini di genocidio ma, vuoi per la retrosia di alcuni Stati, vuoi per la Guerra fredda, tale esigenza fu messa in disparte per cinquant’anni.
La Cpi si occupa principalmente di quattro tipologie di crimini internazionali: crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidio e atto di aggressione. Ecco, questo elenco da solo fa capire l’importanza del lavoro svolto dalla Corte.

Possiamo farne a meno?
Spoiler: no. Dal secondo dopoguerra il diritto internazionale, con le sue istituzioni e le sue norme, ha avuto un ruolo fondamentale e centrale nell’arginare derive autoritarie, nel risolvere conflitti e nell’assicurare, nonostante i limiti intrinseci, la pace.
Ora, tu dirai “e le guerre ci sono comunque e i criminali non finiscono mai, le norme internazionali non cambiano nulla e bla bla bla”. È vero, i problemi ci sono ed è sciocco pensare che tutto possa risolversi con un semplice trattato o con una dichiarazione di principi.
Mi gioco allora la carta filosofia e metto in gioco Hans Kelsen, il più grande filosofo del diritto del ‘900. Austriaco ed ebreo, con l’ascesa del nazismo si rifugia prima in Svizzera e, poi, negli Stati Uniti, dove lavora all’università di Berkeley fino alla sua morte, nel 1960.

Kelsen si occupa del diritto internazionale a più riprese e da diverse prospettive ma il ragionamento più interessante e pregnante è quello sull’ordinamento primitivo. Nel 1934 e non solo allora, Kelsen definisce il diritto internazionale come un ordinamento giuridico primitivo. No, non intende dire che gli Stati si comportassero a mo’ di Flinstones, ma che il diritto internazionale «si trova all’inizio di un processo di sviluppo», un processo che gli Stati nazionali hanno già affrontato e concluso.
Se davvero esiste un processo di evoluzione giuridica, per Kelsen questo è un percorso di accentramento delle funzioni – legislativa e giudiziaria su tutte – verso una sorta di «stato mondiale». La prova che ci aveva visto giusto? La trovi nei paragrafi precedenti!

Centocinquanta anni fa tutto questo non c’era. Non c’erano istituzioni come le Nazioni Unite, non c’erano tribunali internazionali come la Cpi che oggi, nonostante le difficoltà che abbiamo visto e che i telegiornali – per chi ancora li guarda – non mancano di mostrarci, puntano ad alzare sempre di più l’asticella della tutela della vita umana e dei diritti di ognuno.
Ad oggi, quindi, tra guerre, crisi diplomatiche, dazi e torturatori rispediti al mittente, bisogna ricordare che, più che mai, il diritto internazionale va implementato e non osteggiato.
Fonti
Se ti va di approfondire o di sconquassarti con un po’ di filosofia:
- Hans Kelsen, Lineamenti di dottrina pura del diritto;
- Hans Kelsen, Diritto e pace nelle relazioni internazionali;
- Pietro Costa, I diritti di tutti e i diritti di alcuni.
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Ho 24 anni e studio giurisprudenza. Mi piacciono la filosofia del diritto, la politica e la pizza würstel e patatine. Ah sì, mi piace anche scrivere.
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