Nel 1974 gli italiani furono chiamati a rispondere a una domanda essenziale: vuoi che il divorzio resti legge o preferisci continuare a litigare per tutta la vita? Beh, non era proprio così, ma il senso è più o meno quello. In questo articolo proviamo a ripercorrere quella vicenda da due angolazioni: la legge, spiegata senza farvi scendere le palle a terra da Antonio, e la società, raccontata attraverso i giornali da Lucrezia. 

Quando l'Italia mise Dio un po' da parte

Il referendum sul divorzio fu anche – e soprattutto – un pantagruelico termometro della secolarizzazione italiana. Ma che significa? È stato il momento in cui l’Italia iniziava a dire alla Chiesa, con garbo, “grazie per il consiglio, siamo in grado di decidere per fatti nostri”. Il nostro paese, infatti, in quel periodo cominciava a cambiare, le persone iniziavano a pensare che non tutto dovesse essere deciso in base a ciò che diceva la Chiesa.

Come l'IA immagina la secolarizzazione

In Italia, dove il matrimonio era un sacramento, l’idea che si potesse sciogliere legalmente fu un vero e proprio terremoto morale. Fino agli anni ’60 divorziare era molto complicato, per questo motivo lascio la parola ad Antonio che meglio di me potrà spiegarlo.

La Sacra Rota

In “Totò, Fabrizi e i giovani d’oggi” del 1960, Totò e Aldo Fabrizi vogliono prima impedire e, a nozze celebrate, annullare il matrimonio dei loro figli. Il film finisce così:

«Io chiedo l’annullamento alla Sacra Ruota!»

«E io a tutte le ruote!»

amici sul serio guardatelo

Fa ridere? Assolutamente sì (correte a vederlo), ma nasconde anche una verità: la Sacra Rota era un po’ un terno al lotto. La Sacra Rota è il maggiore tribunale ecclesiastico e si occupa soprattutto di matrimoni. Vuoi per i tempi lunghissimi, vuoi per i costi, sciogliere un matrimonio non era la cosa più facile del mondo. Basti pensare che la chiesa cattolica prevedeva – e prevede tuttora – che lo scioglimento del matrimonio possa avvenire solo alla presenza di cause che lo rendono nullo dall’inizio: cause, cioè, esistenti già al momento del matrimonio e che, per un motivo o per un altro, non sono emerse in precedenza.

miss u bergoglio

In sostanza, ma questo lo sapete tutti, quod deus coniunxit homo non separet: ciò che Dio ha unito, l’uomo non divida. Il matrimonio è indissolubile e la Sacra Rota può agire solo in forza di determinati motivi. Per fare un esempio, il Codex Iuris Canonici del 1917 (in vigore fino al 1983), come cause di nullità del matrimonio prevedeva: disparità di culto, consanguineità o il consenso estorto al coniuge con violenza. 

La legge 898/1970

E nella legislazione statale? Beh, la situazione forse era ancora più stringente. Prima della legge Fortuna-Baslini, l’unica ipotesi di scioglimento del matrimonio prevista dal Codice civile era la morte del coniuge. Tant’è vero che a pagina 9 della proposta di legge Fortuna, si può leggere che da una comparazione tra la forma civile e quella religiosa del matrimonio, rilevasi come il principio della indissolubilità sia più rigoroso per la forma civile che per quella stessa religiosa.

manifestazioni pro divorzio

Da qui, arriviamo alla legge 898/1970, anche chiamata Fortuna-Baslini dal nome dei due parlamentari proponenti. Cosa prevede? Innanzitutto una serie di cause di scioglimento del matrimonio che riguardano condanne di uno dei due coniugi per alcuni reati. In secondo luogo altre cause di scioglimento, come il vizio di mente di uno dei due coniugi. 

In ogni caso, per proporre la domanda di divorzio al giudice era necessaria la separazione (che poteva essere consensuale o giudiziale): i due coniugi dovevano aver cessato la convivenza da almeno cinque anni. Era poi stato previsto un tentativo di conciliazione da parte del presidente del tribunale, effettuato il quale partiva poi tutto l’iter processuale. 

Anche qui, dunque, i tempi non erano così ristretti (in ogni caso ci sono state, negli anni, delle migliorie), però almeno c’erano più garanzie, i costi erano ridotti e soprattutto gli atti non erano in latino.

A proposito di latino e di chiesa, piccola curiosità: per il matrimonio civile si parla di scioglimento, mentre per il matrimonio in chiesa si parla di cessazione degli effetti civili, perché quod deus coniunxit e bla bla bla. 

Due considerazioni forse scontate: lo schieramento pro divorzio era composto da socialisti, comunisti, liberali e altre forze laiche, mentre lo schieramento opposto era formato da democristiani e missini. La seconda considerazione è che a proporre il referendum furono movimenti cattolici e conservatori, capeggiati da Gabrio Lombardi, presidente del comitato referendario.

Nel ‘74 quindi arriviamo al primo referendum dell’era repubblicana (ovviamente il secondo dopo quello monarchia vs repubblica). Lo scontro tra ideologie contrapposte, tra discorsi, teorizzazioni e tutte le possibili astrusità, si riduce a una domanda e due monosillabi:

“Volete che sia abrogata la legge 1º dicembre 1970, n. 898, “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”?

Sì, lo voglio.

No, non voglio. 

Fac-simile della scheda

I giornali come riflesso della società

Negli anni ’70, quindi, abbiamo capito che il paese stava attraversando un periodo di grandi cambiamenti, alla ricerca della sua versione più “moderna”. Un decennio che si incamminava su una strada lastricata di riforme ma anche di litigi politici: un “divorzio” tra tradizione e innovazione (pessima battuta me ne rendo conto). 

Per non tirarla troppo per le lunghe, sappiamo ormai che l’attenzione è poca, abbiamo scelto di selezionare solo due giornali emblematici per raccontarvi il clima dell’epoca: l’organo della Democrazia Cristiana e quello del Partito Comunista Italiano. Essi, in qualche modo, possono fornire uno spaccato dell’epoca: sono i giornali ufficiali di partito, ma non di due partiti qualsiasi, di quelli più votati durante gli anni della Prima Repubblica. In tal senso, leggere un giornale è come usare una macchina del tempo: è il mezzo più efficace per capire come gli italiani dell’epoca ragionavano. 

L’organo del partito della DC, «il Popolo», il 13 maggio 1974, rilascia un’edizione suppletiva dedicata interamente al referendum. Invitava i propri lettori, ed elettori, a votare per il “sì”, dunque per abrogare la legge. Molto interessante è la terza pagina, anche un po’ buffa vista oggi: sono elencati i motivi per cui dovrebbe vincere l’abrogazione e sono accompagnati da grandi autorità ideologiche. Identici agli articoli di giornale che vengono pubblicati ora, eh?

La prima pagina de "Il popolo"

Ad esempio, per sostenere la tesi del “sì” è citato, nientepopodimeno che Carl Marx! Il suo pensiero è tratto dagli «Scritti politici e giovani»; in questa sezione citata dal giornale, Marx paragona il matrimonio ad un nuotatore: «chi contrae matrimonio non crea, non scopre il matrimonio, così come il nuotatore non scopre la natura e le leggi dell’acqua». Dunque, bisogna “obbedire” alle leggi del matrimonio. In questa sezione, come puoi consultare tu stesso cliccando qui, sono citati ad esempio anche esponenti del Partito Comunista Italiano, probabilmente come testimonianza del fatto che anche nei partiti più progressisti c’erano esponenti contrari a questa legge.

Lo stesso giorno, l’organo del Partito Comunista Italiano, «l’Unità», scriveva in prima pagina, a caratteri cubitali, l’invito di andare a votare per il “no”. Cliccando qui puoi consultare tu stesso il giornale. 

Prima pagina de "l'Unità"

Puoi ancora convincere un elettore incerto

È molto interessante il piccolo inserto, in seconda pagina, intitolato Puoi ancora convincere un elettore incerto. Leggendo questa sezione un po’ non possiamo non essere nostalgici per un periodo che non abbiamo vissuto. È un inserto che parla più al cuore che alla testa, incoraggia a non mollare la presa su chi ci è vicino e tentenna davanti l’urna. 

Ma la cosa che forse è ancora più attuale, è l’invito proprio ad andare a votare. L’inserto recita: E rammenta: la scheda bianca aiuta i crociati della sopraffazione. Non un voto vada perduto per la libertà. Un capolavoro di retorica militante e straordinariamente attuale: la partecipazione politica è responsabilità collettiva. Il messaggio è che non votare non significa neutralità, ma lasciare che gli altri decidano per te. 

Che cosa ci fa capire ciò? Che le forze politiche dell’epoca, per quanto opposte, invitavano a prendere parte ad una decisione così importante. A far sentire la propria voce, oltre che esercitare il proprio diritto e dovere di voto. Negli anni precedenti, fino alla fine degli anni ’90, per quanto la politica fosse forse sporca, ipocrita, contraddittoria, era per tutti e soprattutto di tutti. Si faceva politica a casa, nei circoli e nelle piazze. Era discussa, ma c’era. Tutti partecipavano e tutti contribuivano al miglioramento del paese. Dal 2000 si è diffusa una forte disaffezione nei confronti della democrazia e della politica in generale. Oggi più che mai siamo chiamati a difendere la nostra voce e i nostri diritti. 

Forse questi due articoli, presi come esempio campione in mezzo a mille altri, ci ricordano che la democrazia è una scelta quotidiana e che oggi anche noi dovremmo guardare il voto non come una perdita di tempo, ma come un atto di resistenza civile

Cosa ci insegna il ‘74

Lucrezia l’ha detto già e voglio ribadirlo anch’io: votare è anche un dovere. E questo, nei referendum, vale ancora di più: In Italia i referendum abrogativi per essere validi necessitano del quorum, nel nostro caso il 50%+1 degli aventi diritto al voto. 

Esempio pratico: poniamo che esistano solo 100 elettori. Se solo 50 vanno a votare, anche qualora votassero tutti per il sì – o per il no – il referendum non sarebbe valido. 

In questo senso, il referendum del ‘74 ci insegna quanto la partecipazione attiva ai processi democratici sia capace di mutare la storia non solo del Paese ma anche di noi stessi. Il 12 e il 13 maggio del 1974, a recarsi alle urne furono 33 milioni di italiani su 37 milioni di elettori: 87,72%. Quorum distrutto e grande esercizio di democrazia e civiltà. Numeri che confermano quanto Lucrezia ha spiegato prima: la gente ha iniziato a separare la morale cattolica dalle reali esigenze della vita quotidiana. Tutto questo è vero nella misura in cui anche una buona fetta dell’elettorato cattolico ha votato per il no

Tuttavia, in Italia questa lezione l’abbiamo completamente dimenticata. 

E, infatti, a riprova di quanto diceva Lucrezia qualche riga più su, beccatevi questo grafico:

Alla fine dell'articolo trovate il link per consultare i dati

Come potete vedere, dal ‘95 in poi l’affluenza ai referendum è riuscita a superare la soglia del 50%+1 solo 2 volte su 10. Siamo passati dall’87% del 1974 al 21% del 2022.

Come risolvere questo problema? Diciamo che non è la cosa più facile del mondo. Il quorum esiste come strumento di garanzia, per evitare che tramite referendum si aggiri facilmente il parlamento. 

Insomma, abrogare leggi col voto di 100 persone è sicuramente dannoso. O, forse, senza il quorum le persone avvertirebbero maggiormente la responsabilità di andare a votare. Chi lo sa? Io no. 

Il punto è che finché esiste, il quorum è uno strumento politico del fronte referendario di turno. 

E non devono sorprendere, per quanto discutibili, le dichiarazioni dei politici che mirano e invitano all’astensionismo, come quando Craxi invitò la gente ad andare al mare invece di andare a votare. 

Forse, e dico forse, sarebbe meglio guardare indietro negli anni, comprendere il vero senso della storia, dello studio della storia, e tornare a fare politica dal basso. Perché, alla fine, siamo noi a scegliere, non loro.

Fonti

U. Gentiloni Silveri, Storia dell’Italia contemporanea 1943 – 2019, il Mulino, 2019. 

Le tante ragioni del sì, in «il Popolo», 13 maggio 1974.

Puoi ancora convincere un elettore incerto, in «l’Unità», 13 maggio 1974.

Per i dati sull’affluenza alle varie consultazioni elettorali basta spulciare la sezione archivio del portale Eligendo.

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