È il 19 novembre 1884: un torinese senza troppe pretese registra il brevetto che avrebbe reso la caffeina un affare serio. L’espresso è nato così, veloce e denso come lo conosciamo, e tutto grazie alla fretta di Angelo Moriondo.
Una storia che ha reso l’Italia più sveglia
Il 19 novembre non è una di quelle date che si ricordano in automatico, come Natale o Ferragosto. Eppure, se ti piace il caffè, dovresti segnartela: è il giorno in cui, nel 1884, l’imprenditore Angelo Moriondo ha brevettato a Torino una macchina che oggi possiamo tranquillamente chiamare “la mamma di tutti gli espressi”.
Sì, proprio lui, questo bell’uomo baffuto, un signore d’affari piemontese, ha avuto l’intuizione che ha trasformato la caffeina in qualcosa di più di una tazza di caffè. In un’epoca in cui ci si prendeva tutto il tempo per preparare il caffè, lui capì che la gente avrebbe apprezzato un po’ più di velocità nel processo. Nacque così l’idea di un caffè espresso, servito in tempi record e senza sacrificare l’intensità del gusto.

La storia suona come una tipica storia di successo italiano: l’espresso, la bevanda simbolo di chi ha troppe cose da fare e zero voglia di aspettare. L’idea di Moriondo era semplice e geniale: sfruttare il vapore per accelerare l’estrazione del caffè, un processo che fino ad allora richiedeva tempo e pazienza. Insomma, il nostro bel baffone aveva capito prima di tutti che la caffeina funziona meglio quando non si deve aspettare un’eternità per berla.
L’intuizione di Moriondo, però, non nasce dal nulla. Torino, con i suoi caffè eleganti e frequentati da intellettuali, artisti e uomini d’affari, era già un centro nevralgico di innovazione e cultura. E il caffè era molto più di una semplice bevanda: era un’occasione sociale, un modo per discutere d’arte, politica e, perché no, pettegolezzi. Nulla di diverso da oggi, con una sola differenza: il tempo.
Una tazzina richiedeva pazienza, e si sa, il tempo è denaro, specialmente quando si ha un’attività commerciale. Moriondo colse al volo questa esigenza e decise di creare una macchina che accelerasse il processo. La sua invenzione non era ancora l’espresso cremoso e denso che conosciamo oggi, ma era già un’idea rivoluzionaria, una nuova filosofia del caffè che stava per conquistare il mondo.

Una tazzina che viaggia il mondo
Ma la storia del caffè espresso non finisce con Moriondo. Il suo brevetto torinese, conservato e sviluppato, è stato poi perfezionato da altri geni italiani come Luigi Bezzera e Desiderio Pavoni, che, agli inizi del ‘900, lo trasformarono in una macchina commerciale, più compatta e funzionale, perfetta per i bar di tutto il Paese.
Il nome “espresso” non era solo un modo per indicare la rapidità con cui veniva servito, ma anche la qualità concentrata e forte del caffè che offriva. A quel punto, l’espresso diventava un rito sociale e culturale: dai caffè storici di Torino alle piazze romane, fino a Milano, dove presto la macchina per espresso sarebbe diventata un elemento essenziale di qualsiasi locale rispettabile. E da lì… tutto il mondo ha cominciato a prendere un po’ di Italia a ogni sorso.
Chi dice che l’espresso è solo una tazzina di caffè non ha capito niente. Qui parliamo di un rito, di un concentrato di italianità e di tutto quel saper vivere che il mondo ci invidia. Lo abbiamo reso piccolo e intenso come un pugno di energia che sveglia la giornata, e da allora l’espresso è stato preso in prestito, copiato, trasformato, ma mai eguagliato. E non lo dico assolutamente perché sono di parte con i miei 5 caffè al giorno (minimo).

La scusa perfetta per un brindisi (con espresso, ovviamente)
Oggi, l’espresso è più di una bevanda: è un pezzo di cultura. Lo sa bene anche Sabrina Carpenter, che gli ha dedicato un pezzo.
Da casa ai bar, dalle piazze di paese alle metropoli, il caffè espresso è una pausa, un incontro, un’occasione per fermarsi, e anche la scusa ideale per chiedere alla tua crush di uscire. E sì, una specie di diritto inalienabile, almeno per noi italiani, che unisce gusto, rapidità ed eleganza.

Il caffè espresso ha superato l’oceano, è stato reinterpretato, modernizzato e persino trasformato in nuove versioni come l’americano (caffè annacquato) o il flat white (altro non è che un cappuccino con un doppio ristretto). Niente a che vedere però con l’espresso tradizionale, che resta un riferimento insostituibile Capito? In-so-sti-tu-i-bi-le.
Anche le macchine sono cambiate: ora fanno tutto da sole, dal macinare al servire. Ma quella fretta calda e amara rimane, lo stesso bisogno che spinse Moriondo a quel brevetto nel lontano 1884.

Il 19 novembre meriterebbe forse di diventare una piccola festività, un’occasione per ricordare che anche le cose semplici possono essere rivoluzionarie, e che anche una tazzina di caffè può cambiare il mondo.
Quindi la prossima volta che alzi una tazzina e fai quel mezzo sorriso dopo il primo sorso, pensaci: stai celebrando un pezzo di storia. Un saluto a Moriondo e alla sua visione – che, in fondo, ha reso tutti un po’ più svegli e pronti a carburare.
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