Un paio di mesi fa, mentre bevevo un caffè, mi apparse sul telefono l’immagine di una locandina di una nuova serie tv: Qui non è Hollywood. Da subito i personaggi fotografati mi sono sembrati familiari… stavo forse sognando o si trattava del caso di Avetrana? Credevo di aver già visto e letto tutto sul tema ma mi sbagliavo, e l’istinto mi diceva che a breve avrei avuto bisogno di altri caffè.
La verità è difficile da raccontare. Lo sapeva bene Agatha Christie e non posso che essere d’accordo dato che gli atti delle motivazioni di sentenza sull’omicidio di Sarah Scazzi superano le 1200 pagine. Ma la verità comincia sempre dal principio: da un piccolo comune in provincia di Taranto.
Tutto d'un... caso
Sarah Scazzi, 15 anni, scomparve nel primo pomeriggio di una giornata estiva mentre si recava a casa della cugina Sabrina Misseri. Oltre un mese dopo, Zio Michele, il padre di Sabrina, ritrovò il corpo e ne confessò l’omicidio, portando gli inquirenti all’interno di un pozzo artesiano dove giaceva il corpo.
Le sue dichiarazioni apparvero fin da subito confuse e contraddittorie: un omicida che non riusciva esattamente a spiegare perché l’avesse uccisa ma anche come l’avesse fatto, ad eccezione di quelle usate per l’occultamento di cadavere (che risulteranno, invece, sempre coerenti).

Qualcosa non torna
A poche ore dalla scomparsa, apparve chiaro che la protagonista era Sabrina: lei ipotizzava, accusava e agli occhi del paese guidava le indagini. E a quanto pare il ruolo di “commissario” doveva averlo preso proprio sul serio: preoccupata che all’interno dei diari della cugina vi fosse traccia di un loro litigio per via di un avvicinamento proprio tra Sarah e la crush di Sabrina, Ivano, convinse la mamma di Sarah a non consegnarli subito ai Carabinieri.
Ivano, anzi Dio Ivano, come Sabrina amava definirlo. Her little reeinder. Con agli atti più di 4500 messaggi inviati a lui da Sabrina, la quasi relazione vacillò definitivamente a seguito dell’improvvisa interruzione di Ivano durante un loro rapporto sessuale accompagnata dal quesito “Ma poi resteremo amici?” (Ivano… ma che domande fai?) a cui Sabrina rispose con un laconico “Non lo so” che non fu preso benissimo dal ragazzo, il quale probabilmente era alla ricerca di un rapporto occasionale.

L’umiliazione subita, insieme all’evidente disimpegno del giovane, venne raccontata da Sabrina ad un’amica in presenza anche della piccola Sarah (e che questa riferirà poi al fratello Claudio). Le dicerie di paese che ne sono seguite, e il senso di tradimento percepito da Sabrina per mano della cugina/sorella (dato il rapporto simbiotico che le univa), la gelosia e le invidie che da sempre hanno caratterizzato il rapporto tra le due famiglie hanno fatto il resto.
Il signore delle camelie
Alla verità si arrivò grazie alle testimonianze di amici, tabulati telefonici, orari, intercettazioni che misero in evidenza le numerose bugie e tentativi di depistaggio di Sabrina ma anche della madre Cosima.
Mentre Sabrina era già in carcere accusata di omicidio volontario, uno dei pochi (l’unico…) che ancora non aveva messo parola sulla vicenda sferrrò il colpo finale: il fioraio di Avetrana, poco prima della scomparsa di Sarah, girando con il proprio furgone, l’aveva vista a piedi, turbata, seguita in macchina da Sabrina con Cosima che la esortava a salire sull’auto. Versione che ritrattò successivamente come sogno (se avessi ricevuto un euro ogni volta in cui qualcuno mi ha detto “le hanno condannate solo per un sogno”…), a discapito delle intercettazioni, del turbamento manifestato e delle precise descrizioni fornite nel corso della prima dichiarazione resa.

Avviciniamoci alla verità coi fatti
Ma la sentenza del caso Avetrana ha come fondamenta ben più di un sogno e di qualche pettegolezzo:
- tutti i familiari, inclusa Cosima Serrano, hanno sempre affermato che Sarah non sarebbe mai scesa in garage perché quello era il “regno” dello zio;
- le dichiarazioni di Cosima sono apparse fin dal principio molto confuse e contraddittorie;
- Sabrina, già poche ore dopo la scomparsa, aveva descritto agli amici i vestiti indossati da Sarah (dettaglio che non poteva ancora sapere in quel momento);
- i testimoni furono tutt’altro che ostili, anzi all’inizio cercarono il più possibile di “difendere” Sabrina (ricordiamo che la famosa Anna Pisanò si recò la prima volta in Procura solo perché convocata);
- la macchina di Cosima, il giorno della sparizione e all’incirca all’orario indicato dal fioraio, non venne vista per strada solo da quest’ultimo ma anche da un conoscente dei Misseri. Cosima, comprendendo di essere stata vista, si recò a casa del testimone esortandolo a fornire ai Carabinieri un’altra versione;
- la ritrattazione del fioraio in sogno fu determinata dal tentativo di nascondere una relazione extraconiugale con la propria commessa (nonché figlia di Anna Pisanò);
- per concorso in soppressione di cadavere, oltre a Michele Misseri, sono state condannate anche altre 2 persone;
Insomma, potrei andare avanti per ore. Quello che è certo è che la Corte suprema di cassazione ha confermato nel 2017 le condanne all’ergastolo per Sabrina Misseri e Cosima Serrano e 8 anni per Michele Misseri per soppressione di cadavere e inquinamento delle prove.

Il "dietro le quinte" dell'ultima confessione di zio Michele
Zio Michele ha recentemente concluso il suo periodo di detenzione (un anno prima grazie a sconti di pena), ma continua a dichiararsi il solo omicida della nipote (già nel corso del processo aveva ritrattato di nuovo cercando di scagionare la figlia Sabrina).
Ma è davvero colpevole? E se non lo è perché si ostina a dichiararlo? Partiamo con il dire che la sua versione dei fatti circa il presunto omicidio non ha mai trovato riscontri oggettivi.
Michele è un uomo dalla personalità completamente dipendente da Cosima e Sabrina ma è anche un uomo che ha rotto un patto non solo criminale, ma anche familiare. Un uomo che doveva prendersi la colpa, tutta la colpa, ma la cui coscienza alla fine glielo ha impedito. Le sue confessioni sono mosse dal senso di colpa verso la moglie e la figlia che hanno retto verso di lui un vero e proprio silenzio punitivo, anche a distanza. Con le sue autoaccuse Misseri cerca, per quanto possibile, di ricucire quel legame familiare che lo ha guidato (o comandato?) per tutta la sua vita.
La verità è così difficile da raccontare
Il caso Avetrana non ha precedenti: sogno, delitto, gelosie, rancori familiari, dipendenze affettive, reputazioni a rischio, dominazione, narcisismo, manipolazioni, rifiuti sessuali e impatto mediatico.
Ma solo i dettagli, i fatti e le ricostruzioni, anche psicologiche, contenute nelle oltre 1200 pagine di motivazioni di sentenza di condanna, e descritte nella straordinaria requisitoria del P.M. Buccoliero, chiariscono ogni dubbio, svelando ogni menzogna e ricollocando al loro posto ruoli e responsabilità.
…mi sa proprio che qui l’unico sogno sia quello di chi ancora le crede innocenti.
Fonti
Interessante analisi dell’intervista di Franca Leosini a Sabrina Misseri.
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