Roma, per Gian Lorenzo Bernini, non era solo una città: era una tela su cui dipingere la sua grandezza, scolpire i suoi sogni barocchi e lasciare un’impronta imperitura. 

Nato a Napoli nel 1598 e trasferitosi a Roma ancora bambino, Gian Lorenzo Bernini si ritrovò ben presto accanto a personaggi potenti: prima tra tutti, il cardinale Scipione Borghese(non l’Africano attenzione, quello visse qualche secoletto prima) , nipote del papa Paolo V, e in seguito il cardinale Barberini, futuro papa Urbano VIII, pronto a lanciarlo verso le vette della fama.

Cominciò col botto: nel 1615 presentò alla Galleria Borghese la sua Capra Amaltea, tanto ben fatta da ingannare gli esperti, convinti fosse un pezzo autentico dell’antichità ellenistica. E questo era solo l’inizio. Tra il 1621 e il 1625, Bernini scolpì quattro gruppi marmorei per il Casino Borghese, tra cui Apollo e Dafne, con cui, tanto per essere chiari, mise in fuga il dio greco davanti agli occhi di tutti.

L'assolutamente sconosciuta "Apollo e Dafne".

Non solo artista, ma anche un bel ganzo

E chi poteva dirgli di no? Bernini era bello, affascinante e con una capacità di persuasione notevole. I papi, uno dopo l’altro, facevano a gara per commissionargli le loro opere, dalle fontane in Piazza Barberini al grandioso colonnato in San Pietro, senza dimenticare il celebre Baldacchino che ancor oggi troneggia sulla tomba di Pietro. Ah, e se non vi fosse bastato il tritone con i delfini, ecco anche le api di papa Barberini: Bernini le scolpì ovunque potesse, come simbolo della famiglia.

Il colonnato di San Pietro, in quel posto dove abita il Papa.

La redenzione con Papa Innocenzo X

Al Papa Innocenzo X Pamphilj l’architetto non andava particolarmente a genio, ma Bernini gli fece cambiare idea con la Fontana dei Quattro Fiumi in Piazza Navona, un capolavoro in cui il Tevere si rilassa accanto al Nilo, e il Danubio posa accanto al Gange. Riuscì perfino a inserire un gesto ironico: la figura del Rio della Plata sembra coprirsi gli occhi, come a dire che il vicino Chiesa di Sant’Agnese in Agone (progettata da Borromini, rivale di Bernini) fosse meglio non guardarla troppo.

Tuttavia, questa è solo una leggenda: la fontana venne completata qualche anno prima della costruzione della chiesa, e Bernini non poteva sapere che sarebbe stata costruita proprio dal suo acerrimo rivale.

Effettivamente sembra un po' disgustato.

Borromini vs Bernini: scherzi barocchi a Roma

Nel cuore del Barocco romano, la rivalità tra Gian Lorenzo Bernini e Francesco Borromini non fu solo una gara di talento, ma anche una schermaglia di ingegno e ironia. Da una parte, Bernini, il “re delle pubbliche relazioni” sostenuto dai Barberini, dall’altra Borromini, austero e riservato come le sue umili origini. Le loro opere parlano da sole: Bernini, con marmi preziosi e ori a volontà in Sant’Andrea al Quirinale, si scontrava con l’abilità magistrale di Borromini, capace di creare miracoli architettonici a basso budget come San Carlino.

La cupola di San Carlino progettata da Borromini. Mi dispiace Berny, ma il tuo rivale era davvero bravo.

E poi ci sono le schermaglie ironiche, come la guerra delle sculture: Borromini, avendo ottenuto la commissione del Palazzo di Propaganda Fide, non esitò a scolpire due enormi orecchie d’asino sulla facciata, un chiaro messaggio al rivale. La risposta di Bernini? Un gigantesco e generoso fallo scolpito sul cornicione del suo palazzo, rivolto proprio verso il cantiere di Borromini, giusto per sottolineare chi era il vero maestro tra i due. Satira o mito, queste opere non smettono di dialogare, e con il passare dei secoli danno a Roma quel tocco piccante in più giusto per dare un po’ di drama alla città eterna.

Un capolavoro oltre Roma

Nonostante la sua notorietà a Roma, Bernini si allontanò dalla città solo una volta: nel 1665 accettò l’invito del re di Francia, Luigi XIV, un sovrano notoriamente modesto, per realizzare il suo ritratto.

La creazione del busto di Luigi XIV è ben documentata grazie al diario di Paul Fréart de Chantelou, che seguì Bernini durante il suo soggiorno parigino. Dopo giorni di dibattiti per scegliere il marmo e decidere tra busto o statua intera, Bernini iniziò l’opera, lavorando solo in presenza del re per coglierne la personalità dal vivo.

Con l’aiuto dell’assistente Giulio Cartari, il busto fu completato in quaranta giorni e tredici sedute con Luigi XIV, durante le quali l’artista non si limitò al volto ma immortalò anche l’aura regale. Persino la pettinatura del re subì l’influenza di Bernini, diventando un trend a corte.

Il modestissimo mezzo busto.

Il busto, inaugurato al Louvre nel 1665, fu poi trasferito a Versailles, dove si trova ancora oggi. Il successo dell’opera portò a una nuova commissione per una statua equestre, che però non replicò lo stesso trionfo.

Durante questa visita, creò un capolavoro e lasciò anche un bozzetto per una statua equestre del re, quasi a voler imprimere il suo talento ovunque.

28 novembre 1680

Così, tra busti di Medusa e un’infinità di statue e fontane, Bernini si spense a Roma il 28 novembre del 1680. Ma la città, e forse anche noi, gli siamo ancora grati. Perché, a parte l’infinito colonnato di Piazza San Pietro e le scenografiche fontane, senza di lui Roma non sarebbe quella meravigliosa città di marmi, api, delfini e tritoni che amiamo così tanto. Con il suo genio, Bernini ha trasformato Roma in un palcoscenico a cielo aperto, un luogo dove arte e vita si fondono, regalandoci quella meravigliosa città che non smettiamo mai di amare.

Fonti

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