Oggi, non in un giorno qualunque, vi facciamo salire sulla nostra “Collamobile” e, dato che il nostro giornale non è certo comune, vi regaliamo un viaggio nel tempo: torniamo ai tempi di Falcone e Borsellino, la Strage di Capaci.

Siamo nel 1992, è un sabato che sa di imminenti vacanze, e di quella spensieratezza che ci fa credere che i mali del mondo siano lontani, distanti, non ci riguardino.

Vicino al profilo dell’autostrada di Palermo, dove oggi sorge una distesa di ulivi, occhi attenti osservano le autovetture passare, sanno che sta arrivando il momento. Le pupille si dilatano, viene gettato l’ennesimo mozzicone di sigaretta a terra e… il denotatore viene attivato. 

L’esplosione che ne segue provoca una voragine di macerie e di vite ma, contro ogni aspettativa, sorge una nuova cultura della legalità. 

Il magistrato Giovanni Falcone.

“Per questo mi chiamo Giovanni”

Giovanni Falcone era un magistrato italiano che ha dedicato la sua vita alla lotta alla mafia e fu tra i primi a comprendere la struttura unitaria e verticistica di Cosa Nostra: già 40 anni fa, infatti, non solo intuì che le mafie si apprestavano a varcare i confini italiani (so che oggi vi appare scontato…), ma riuscì a realizzare inoltre un metodo investigativo che sarebbe diventato un vero e proprio modello nel mondo

La rigorosa ricerca della prova, indagini patrimoniali e bancarie, ostinata caccia alle tracce lasciate dal denaro e lavoro di squadra furono le armi con cui, insieme al pool antimafia, istruì il primo maxiprocesso a Cosa nostra. L’eccezionale impegno di un gruppo di magistrati da lui guidati, dopo anni di assoluzioni per insufficienza di prove, portò alla fine alla sbarra 475 tra boss e gregari e si concluse con 19 ergastoli e condanne a 2665 anni di carcere.

un estratto dalla graphic novel dal romanzo "Per questo mi chiamo Govanni"

“Avete chiuso 5 bocche ne avete aperte 50 milioni”

Il 23 maggio del 1992 nel tragitto da Punta Raisi a Palermo, all’altezza dello svincolo autostradale di Capaci, un’esplosione di inaudita potenza investì, oltre ad altre due macchine della scorta, la Fiat Croma blindata su cui viaggiavano il magistrato Giovanni Falcone e sua moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato.

L’attentato fu organizzato da Cosa Nostra e venne realizzato mediante una carica di circa 500 kg di tritolo, rdx e nitrato d’ammonio, posta sotto il tratto autostradale attraversato dal corteo blindato che accompagnava Falcone. L’esplosione, avvenuta alle 17.57, fu così potente da creare una voragine nell’asfalto e fu rilevata persino dai sismografi. 

Quel giorno e la morte di Falcone, quando di nuovo ci si interrogava su chi fossero i vincitori ed i vinti nella lotta alla criminalità, hanno di fatto rappresentato un momento cruciale nella lotta alla mafia in Italia. 

Dai bunker del maxiprocesso guidato dal magistrato, le voci di una nuova coscienza si sono riversate sulle strade dando il via ad una nuova consapevolezza che è proseguita anche quando, dopo poche settimane, in un altro attentato in via d’Amelio a Palermo venne ucciso Paolo Borsellino, magistrato e membro del pool antimafia fondato insieme al suo grande amico Falcone.

dopo l'esplosione

Il Signor Tenente

La ricerca della verità ed il perseguimento della giustizia non si svendono ed il prezzo pagato da Falcone e Borsellino è stato altissimo. Ma non sono stati i soli a pagare con la vita quella libertà intellettuale di cui oggi possiamo beneficiare.

Se la strage di Capaci prima, e quella di via D’Amelio dopo, hanno accesso le coscienze (e continuano indirettamente ad illuminarle anche a livello generazionale), si sono tuttavia lasciate alle spalle una scia di sangue che ha colpito altre vittime oltre i due magistrati. Per darvi un’idea, e sempre dalla nostra macchina del tempo, dalla Sicilia passiamo al palco dell’Ariston anno 1994

Minchia signor tenente
Faceva un caldo che se bruciava
La provinciale sembrava un forno
C’era l’asfalto che tremolava
E che sbiadiva tutto lo sfondo

Ed è così, tutti sudati
Che abbiam saputo di quel fattaccio
Di quei ragazzi morti ammazzati
Gettati in aria come uno straccio

Caduti a terra come persone
Che han fatto a pezzi con l’esplosivo
Che se non serve per cose buone
Può diventare così cattivo che dopo
Quasi non resta niente…


Così cantò, mi correggo…declamò perché di poesia più che di canzone si tratta, un giovane Giorgio Faletti che da comico seppe trasformarsi prima in cantautore ed infine in straordinario scrittore di romanzi thriller-noir (partendo da “Io Uccido” capolavoro assoluto del genere) che ottenne il II posto nella nota kermesse dedicando il pezzo ai ragazzi della scorta che vennero uccisi nelle stragi.

Musica e parole per non dimenticare anche il sacrificio di uomini e donne comuni che hanno combattuto giorno dopo giorno al fianco di Paolo e Giovanni.

Faletti sul palco dell'Ariston

Si autoalimenta solo la paura

Dopo 33 anni perché è ancora importante parlare di Falcone e Borsellino?

Perché la cultura della legalità non si autoalimenta, va coltivata, va incoraggiata, deve farsi nuove domande e con altrettanta prontezza fornire delle risposte, partendo dalle piccole cose e tenendo ad esempio due uomini così straordinari.

“Chi ha paura muore ogni giorno. Chi non ha paura una volta sola” …chissà quante volte Borsellino e Falcone si sono ripetuti questa frase, anche solo con lo sguardo.

No, il loro sacrificio non lo possiamo dimenticare e non vogliamo dimenticarlo.

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