Nel mezzo del cammino di nostra vita ci siamo imbattuti nel diario di Anna Frank… no, aspetta, nel libro di Didattica della Matematica di Baccaglini-Frank. Tra le sue pagine, un quesito particolare ha catturato la nostra attenzione, facendoci sorgere un dubbio: gli studenti sono davvero così stupidi?
Fase Sperimentale
Gabriele: Domanda tosta Massimo, ce la siamo scelta complicata eh. Credo che il modo più veloce, sicuro e direi veritiero per rispondere sia nello sporcarci le mani, nell’osservare e annotare, come farebbero due scienziati che si rispettino. E il libro di Baccaglini Frank ci offre il test perfetto su un piatto d’argento: prendiamo il teorema di Pitagora (andiamo, chi non lo conosce) e scombiniamo le carte in tavola. Chiediamo di enunciarlo senza le parole quadrato e cateto. Uscire dagli schemi disorienta sempre. Che risponderanno?

Arrivano le prime, brutte, risposte
Lato 1 + lato 2 tutto alla seconda e poi sotto radice
Gabriele: Ecco già la prima risposta. Cerchiamo di entrare nella logica di chi ha risposto: non posso usare le parole sopraindicate? Bene, le chiamo in un altro modo. Peccato che la matematica contempli praticamente un solo modo di parlare, che è guarda caso il modo matematico (chi l’avrebbe mai detto). Se nel linguaggio comune si tende all’equivocità, nel linguaggio matematico si richiede obbligatoriamente l’univocità dei significati. Il nostro triangolo rettangolo non è una famiglia con dei lati che sono un po’ come Genitore1 e Genitore2. Peggio ancora chiamarli come “lato corto” e “lato lungo”: sulla base di cosa?

In matematica non abbiamo il metro che abbiamo nella realtà per misurare le cose, non possiamo dire <<quel segmento è più lungo di quello>> con così tanta nonchalance. Forse si ha difficoltà a capire che la matematica è sostanzialmente un altro linguaggio, come lo può essere qualunque altra lingua con le sue regole e coerenze. Ho in mente un concetto che posso vedere e toccare nella realtà? Lo tradurrò in “matematichese” usando le regole appropriate.
Ecco che attaccano coi pipponi
Massimo: Gabry, io credo che il problema sia ancora più profondo della semplice traduzione in linguaggio scientifico. A volte mi sembra che i ragazzi non distinguano nemmeno tra un enunciato e una definizione, altre volte danno per assodato tutto ciò che leggono senza chiedersi il perché, un po’ come i boomer su Facebook convinti che domani gli verranno sequestrate le proprietà (sì, proprio quel post con 50 emoji arrabbiate).

In realtà, spiegare a un ragazzo cosa significhi davvero “definire” qualcosa è un’impresa. Il concetto stesso di definizione è un costrutto strano, quasi sospetto (più dei rumors sulla morte del papa). Hai presente il dialogo tra Menone e Socrate sulla virtù? Ecco, una roba simile: si parte per cercare una risposta e si finisce col mettere in dubbio tutto. E forse è proprio questo il punto. Se insegnare è un’arte complicata, insegnare matematica lo è ancora di più. Mille dubbi affollano la mente di un educatore: meglio un approccio meccanico per rendere la matematica accessibile anche ad Andrea Diprè o trasformarla in una sfida mentale? Dare diecimila definizioni o una sola, sperando che gli studenti ti seguano e arrivino a dedurre le altre? Prendiamo il caso dei triangoli isosceli ed equilateri: ha davvero senso dare una definizione separata per i triangoli equilateri quando sono solo un caso particolare degli isosceli? Se non hai capito cosa voglio dire, secondo te è meglio un film che crea suspense o uno che ti spiattella in faccia la verità?

Non sarebbe più logico invogliare i ragazzi a partire da definizioni generali e poi ricavare il resto? Alla fine, il ruolo di un educatore non dovrebbe essere quello di trasformare gli studenti in macchine che ripetono nozioni, ma di stimolarli a pensare, a porsi domande. Se volessimo creare degli automi basterebbe dare in pasto ai bambini libri sulla meccanica quantistica da imparare a memoria.
Gabriele: Ed è proprio quello che stiamo formando Massimo, ragazzi che imparano la lezioncina di matematica come fosse la filastrocca da recitare al cenone di Natale. Visto che si è citata anche la recitazione capiamoci un attimo: la bravura dell’attore, per esempio, non si misura in funzione di quanto impari a memoria, ma a quanto efficacemente improvvisi proprio quando la memoria vacilla. In matematica non si parla di improvvisazione, quanto di problem solving, che poi sì, è un termine molto generico, ma penso d’aver dato l’idea. Sia l’improvvisazione che il problem solving si basano sulla creatività; senza questa nulla s’ha da fare.
La casa a tetto non spiovente costruita sul lato più lungo del triangolo è uguale alla somma dell’interno delle case bidimensionali costruite sui lati minori
Da ammettere: un ragazzo ci ha risposto così, ed è un vero genio.
Anche l’esperimento proposto punta tutto su questa fantomatica creatività, un esercizio che se fatto bene può diventare davvero potente. Lo studente con ogni principio, legge, teorema, ecc… dovrebbe tentare di riformularlo e di ricavarselo; è l’unico modo per capirne l’essenza. Abbiamo scelto il teorema di Pitagora perché è quello più conosciuto…aspe’, sicuro? O è un po’ come dire che la Bibbia è il libro più venduto e poi nessuno lo ha mai letto? “Teorema di Pitagora tanto conosciuto”, poi chiedi di cambiare due paroline e apriti cielo? Vuol dire che c’è qualcosa che non va, che davvero lo abbiamo imparato come una filastrocca, senza saper improvvisare (matematicamente). Lo studente è tenuto a fare questi esercizi di comprensione più approfonditi e, per carità, più difficili; ma senza l’aiuto del prof come fa?
Di seguito, varie risposte un po’ bruttine:
- Dato un triangolo rettangolo ABC in modo che AB sia il lato di lunghezza maggiore (cioè quello opposto all’angolo di 90°). Allora BC^2 + CA^2 = AB^2
- O in altri termini, dato uno spazio vettoriale reale V dotato di prodotto interno <°,°>, considerati due vettori v,w∈V tali che <v,w>=0 allora <v,v>+<w,w>=<v+w,v+w>. Considerando uno spazio affine euclideo e la relazione appena citata si ottiene il vero e proprio teorema di Pitagora.
- In un triangolo rettangolo, la somma delle due aree minori relative alle figure simili proporzionali ai lati del triangolo è uguale a quella maggiore di entrambe.
- In ogni triangolo rettangolo l’area del quadrato costruita sull’ipotenusa è = alla somma delle aree dei quadrati costruiti sugli altri due lati
- La somma dei lati moltiplicati per loro stessi adiacenti all’angolo retto di un triangolo rettangolo è uguale lato opposto all’angolo di 90 gradi moltiplicato per se stesso.
Massimo: Ma sì! Se tutti ci impegnassimo davvero, riusciremmo a formare ragazzi in gamba, capaci non solo di maneggiare numeri e qualche costrutto logico, ma anche di ragionare, formalizzare e dialogare. Insomma, eviteremmo di crescere maranza in giro per l’Italia. La matematica dovrebbe essere pane quotidiano, al pari della visione compulsiva dei Me Contro Te nella fase prescolare. Eppure, vedo in giro persone che ridono e vanno fiere di non conoscere neanche un grammo dell’universo matematico… le stesse che però guardano con disprezzo chi ignora l’autore della Divina Commedia. Perché in Italia siamo abituati alla mediocrità scientifica e all’esaltazione umanistica? Perché tutti conoscono il professor Barbero e pochi sanno chi sia Odifreddi? Eppure, fanno lo stesso mestiere, solo in campi diversi. Un po’ come un calciatore di Serie A e un pallavolista: perché la matematica è trattata come uno sport di serie B? Cosa accadrebbe se un giorno la matematica diventasse il cuore dell’attività culturale italiana? Forse avremmo ricevuto risposte diverse da “cacca” e “tetti spioventi”. Forse vivremmo in una società che sfida il progresso scientifico e non ne diventa succube.

Gabriele: Evidenziare i problemi nella didattica della matematica è semplice, ma trovare le soluzioni non lo è altrettanto. Come hai detto tu, uno spunto assai efficace sarebbe quello di spingere lo studente a fare da sé, senza buttarlo in un macchinario di procedure e algoritmi sterili da imparare a memoria: a parte che questa non sarebbe neppure più matematica! Ma sono tutti i ragazzi uguali? Anche qui, no. Diversi studenti rispondono a diverse esigenze, quindi uniformare la didattica e pretendere di ottenere risultati contemporaneamente omogenei è un po’ un’utopia, se non addirittura una distopia.
Finalmente hanno finito... piccolo resoconto dai!
Altra cosa di fondamentale importanza è che educare a essere creativi è una cosa che non spetta solo alla matematica: se un professore fa tanto lavoro per insegnare la vera essenza della materia e poi gli altri rovinano tutto con i soliti approcci mnemonici non si è concluso niente. Perché sappiate che neppure le altre materie si studiano a mo’ di filastrocca. Ed ecco la causa dietro quel pesante divario tra cultura umanistica e scientifica: non è che una si fa bene e troppo e l’altra male e poco, ma che tutte e due si insegnano denaturandole. Di questo passo mi preoccupo sempre più sulla possibilità di educare a un vero, sincero e completo pensiero critico.
Fonti
Didattica Della Matematica, Baccaglini Frank
Esperimento condotto dai ragazzi
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Ciao, mi chiamo Massimo... da grande vorrei essere un matematico. Ora mi diverto semplicemente a tartassarti di notizie prendendo spunto dai miei studi. Nel tempo libero bevo succhi a pera!
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